MACHERIO: UN ANNO DA ( NON ) DIMENTICARE
“Ma anche dopo il più duro degli inverni ritorna sempre la dolce primavera”. Lo scrissero, e lo cantarono, alla fine della guerra; varrà anche questa volta, superata la lunga stagione del covid, grazie ai vaccini, ai nostri comportamenti prudenti e alla storia, che ci dice che ogni epidemia dopo un po’ termina.
Certo, dipende come, da quante vittime lascia sul campo, da quali conseguenze psicologiche si trascinano e per quanto tempo, da quali terapie saranno necessarie per riprendere, oltre alle attività economiche, relazioni affettive e sociali a cui ci si è forzatamente disabituati.
Intanto diamo addio a un anno come mai se ne erano visti negli ultimi settanta. Un anno che ha mostrato il peggio, per tutto quello che non dipendeva da noi, e il meglio, per il campo d’azione in cui noi esseri umani potevamo incidere. Non è considerazione da poco e tantomeno non deve passare per mera consolazione.
Se troppo spesso ci dimentichiamo di essere comunità, e non solo un aggregato casuale di vicini di casa, a volte, costretti dall’emergenza a pescare in fondo a noi stessi i sentimenti più profondi, riusciamo a sentirci parte del tutto e, come ripete Papa Francesco, ad accorgerci di essere sulla stessa barca. Quindi a remare nella stessa direzione, se vogliamo vedere la riva.
Nelle pagine seguenti vogliamo ripassare il 2020 senza ricami e limitandoci a fotografarlo. Noi abbiamo fatto del nostro meglio, da mensile tutto macheriese, per portare nelle case dei lettori informazioni di prima mano su quanto stava avvenendo, ma anche su quanto avvenne decenni o secoli fa, su come parlavano i nostri vecchi, sulle criticità e sul bello del paese in cui viviamo.
Lo facciamo ininterrottamente da quarant’anni, essendo Il Paese uscito per la prima volta il 17 gennaio 1981. Finché sarà possibile continueremo a farlo: l’affetto dei lettori lo merita.
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