MACHERIO: SALUTE E' PERSONA


Gent.mo 

Direttore, l’intervento di Roberto Redaelli sul numero di novembre offre diversi spunti di riflessione sul tema salute e politica dei servizi per la salute. L’esperienza, e i ruoli di responsabilità nelle diverse tipologie di aziende che negli ultimi trentacinque anni le riforme del Servizio sanitario regionale che si sono succedute hanno modificato, sono un osservatorio significativo per proporre qualcuna di queste riflessioni. 

Il “profitto”, la riduzione della salute a “merce” con la subordinazione al “mercato”, sono certamente chiavi di lettura esplicative della deriva che sta limitando il suo riconoscimento come diritto. Ma non va confusa o scambiata la causa con l’effetto. La salute è diventata mezzo di profitto perché è stata impoverita e trascurata, dispersa, la sua dimensione “sociale”. 

Il mercato riempie (forse) un vuoto, è una risposta “(dis)adattativa” a questo vuoto, non ne è la causa; riempie il vuoto di un bisogno di salute semplificata, ridotta a “prestazioni”, che ha rimosso le dimensioni e gli aspetti che fanno coincidere la salute con l’essere persona. 

La pandemia che abbiamo subito in questi mesi ci ha costretti a confrontarci drammaticamente e a costo di tante vite umane con queste dimensioni e con questo “vuoto” prima culturale, e quindi organizzativo e di offerta, del sistema sanitario. L’impoverimento, l’arretramento del sistema sanitario, il disinvestimento di risorse economiche e sulla formazione del personale sanitario, nascono da questo vuoto: non ne sono la causa, ma l’effetto. 

La medicina territoriale è stata abbandonata a sé stessa perché è prevalsa l’idea che la risposta ai bisogni di salute dei cittadini è innanzitutto risolvere le acuzie, certamente risolverle con efficienza e in modo efficace, salvando la vita e la salute fisica, ma rimuovendo le dimensioni della sofferenza e della prossimità che fanno dell’esperienza della malattia un’esperienza “esistenziale” nel senso che tocca tutta la complessità dell’essere persona. Non è in discussione questa priorità: salvare vite umane attraverso un sistema di cure specialistico efficiente, è uno dei risultati che fanno della nostra organizzazione sociale una delle più avanzate nel mondo. 

Ma si è rivelata una priorità che non ha saputo comprendere la complessità dei cambiamenti demografici e sociali degli ultimi vent’anni e che hanno un impatto diretto sulla salute come condizione e qualità di vita e finendo per impoverire il sistema di cura e di prevenzione nel saperli affrontare. Una complessità che riguarda la crescita e la diversificazione delle diverse forme di disabilità e non autosufficienza, di incapacità e fragilità nell’affrontare i compiti evolutivi della vita, le condizioni di dipendenza vitale, le forme di dipendenza trasformate in stili di vita patologici, le vulnerabilità soggettive, sociali e di impoverimento materiale che hanno diretta ricaduta sulla salute attraverso forme di relazionalità patologiche, violente, di isolamento ed esclusione sociale. 

Espellere dalla rappresentazione culturale e sociale della salute questa complessità ha impoverito il sistema di cura e prevenzione affidando a un distorta idea di “libertà” la crescente (im)possibilità di curarsi e di affrontare le proprie sofferenze. A questa complessità il “mercato” offre risposte insostenibili perché non riconducibili ad una mera valorizzazione economica secondo i criteri di remunerazione e di organizzazione che il sistema si è dato sulla base della rappresentazione culturale della salute ridotta a “prestazioni”. 

Fino a prima della pandemia parlare di integrazione sociosanitaria, di approccio integrato alla salute, di un’effettiva partecipazione dei Comuni, e quindi della componente sociale del sistema di cura, alla programmazione e gestione delle cure, venivano avvertiti come reminiscenze del passato, come residuati di un sistema ormai orientato in altra direzione e obsolete. 

La pandemia ha portato allo scoperto questa “rimozione”, ha rivelato la “nevrosi” di un sistema prima che incapace di affrontare, di comprendere bisogni di salute e di cura non riconducibili e semplificabili ad un approccio riduzionistico della salute e del benessere psicofisico, che ne fa una delle componenti funzionali della esistenza e non invece dimensione costituiva dell’essere persona. 

Aurelio Mosca (*) 

(*) L’autore è Psicologo-psicoterapeuta Direttore del Dipartimento della Programmazione Integrata Sociosanitaria e della struttura “Percorsi per il ciclo di vita familiare” dell’Agenzia Tutela della salute di Milano Città Metropolitana.


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