MACHERIO: VIOLENZA E INDIFFERENZA



«Ero molto amata in casa, ero una bambina serena, allegra, viziata anche.
La mia era una famiglia di religione ebraica, ma i miei erano assolutmente agnostici. Non frequentavano la sinagoga, non frequentavano gli ambienti ebraici, erano cittadini italiani, fortemente patrioti. […]

Nell'estate del 1938, una sera come tante, eravamo a tavola per la cena, io, mio papà e i miei nonni, […] A un tratto papà cominciò a parlarmi, era emozionato, sapeva che mi avrebbe fatto soffrire e non avrebbe mai voluto dirmi una cosa così brutta. Cercò di spiegarmi con delicatezza che la terza elementare non l'avrei più potuta fare in via Ruffini. Ero stata espulsa dalla scuola.
ESPULSA! Era una cosa grave, […] mi ricordo che chiesi subito: “Perché? Cosa ho fatto di male?” […]

Solo poi, negli anni, compresi che la mia colpa era stata quella di essere nata.
[…] perché quello che capitò in quei primi anni della persecuzione fascista, e che mi fece davvero male, fu l'isolamento. Fu la solitudine. La solitudine del perdente. Dovuta all'indifferenza.

L'indifferenza, sì. A volte, quasi sempre, è più grave della violenza. […]
La solitudine del perdente, la solitudine del malato, del povero, dell'emarginato, è lì che scatta l'indifferenza. […] La maggior parte degli indifferenti non si accorse che 35.000 cittadini italiani, colpevoli solo di essere nati ebrei, venivano messi al bando. Eravamo diventati cittadini di serie B, fino a diventare di serie Z, e poi non bastò l'alfabeto.[…]

Papà, aveva comprato, a caro prezzo, due carte d'identità false, una per me e una per lui. E io, stupida com'ero, coi miei tredici anni, mi rifiutavo di imparare a memoria quelle generalità che non erano le mie.[…]

Ricordo che fu un momento straordinario, quando, con quel documento in mano, papà venne a prendermi e mi disse: “Sì, adesso sono tranquillo e io e te andiamo in Svizzera, Liliana!” La Svizzera rappresentava la salvezza per noi. Così credevamo. Ci affidammo a dei contrabbandieri. Non si poteva fare altro per cercare di passare il confine. I contrabbandieri di uomini hanno fatto i soldi, tanti, con la disperazione del prossimo. Come gli scafisti odierni.[…]

Dopo la fuga sulle montagne dietro la Svizzera, nel pieno dell'inverno del 1943, arrivammo a destinazione. La meravigliosa Svizzera. Che però non ci volle dare asilo. Anzi, ci rimandò dagli aguzzini. […]
Dall'altra parte della rete avevamo i fucili puntati dei soldati italiani. Che ci catturarono.La nostra fuga era finita.

Io so che significa essere respinti. Perdere in un attimo tutta la speranza.[…]
Il 30 gennaio 1944 un nazista, nel raggio del carcere di San Vittore, elencò i nomi di chi sarebbe stato portato via, in uno dei tanti trasporti. C'erano anche i nostri nomi; 605 ne elencò quel giorno il soldato nazista, da quel carico siamo tornati in 20. […] ma solo per quel trasporto, perché ne partirono in migliaia da quel binario 21 della stazione Centrale di Milano.[…]»
(camminata partigina compiuta dai ragazzi di IV e V delle scuole di Macherio, Biassono e Sovico)

Questi stralci, presi dal bellissimo libro della senatrice a vita Liliana Segre: “Scolpitelo nel vostro cuore”, scritto per i ragazzi e a loro dedicato, sono significativi per onorare il XXV aprile di questo 2019. Per gli Italiani è la festa civile più importante dell'anno ed è la festa che fa memoria di una vittoria di popolo che traccia una linea indelebile, precisa e definita, tra ciò che fu il fascismo e ciò che è oggi “la nostra democrazia”, con le inevitabili difficoltà che la caratterizzano. Questa nostra democrazia è stata codificata dalla Costituzione Repubblicana, che resta il frutto più specifico e determinante della lotta Resistenziale. E' ai suoi principi e alle sue regole, infatti, che si uniformano e si regolano tutte le leggi del nostro vivere sociale.

Festeggiare una ricorrenza è fare “viva memoria” di un avvenimento che si è verificato grazie ed a causa di un passato della nostra storia che non possiamo abbellire, o peggio, edulcorare nei suoi principi, nei suoi valori, nei suoi fatti e nei suoi risultati.

Non basta però fare memoria, bisogna festeggiare per trovare la forza di arricchire il proprio bagaglio umano, che non può prescindere da un'accettazione dialettica delle diversità, tenendo sempre dritta la barra verso la realizzazione della propria e dell'altrui umanità. Siamo così, senza se e senza ma, positivamente obbligati ad essere: “umani tra umani” in tutti gli aspetti della vita, siano essi: pubblici o privati, o familiari, o sociali, o politici, etc.

Festeggiare il XXV aprile per noi italiani, macheriesi compresi, è impegnarsi a rimanere sempre nella tollerante dialettica di una società plurale: accettata, studiata (non solo come obbligo scolastico), praticata e, senza retorica fuori luogo, amata.

Festeggiare il XXV aprile è essere contro ogni violenza che facciamo o subiamo, essere contro ogni indifferenza che alimentiamo o constatiamo.

Il XXV aprile è anche occasione e stimolo per impegnarsi in prima persona, con sincera fede umana, ad evitare qualsivoglia violenza propria o altrui, sapendo che essa è solo il frutto avvelenato del male.

«Quel che ora penso veramente è che il male non è mai “radicale”, ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo. Esso “sfida”, come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua “banalità”. Solo il bene è profondo e può essere “radicale”» (Hannah Arendt – La banalità del male).

E' altresì importante che ogni cittadino si leghi al XXV aprile per garantire, con il proprio piccolo e/o grande impegno politico, la difesa delle regole della democrazia, per proteggerla dal pericolo di rigurgiti fascisti, oggi, non così lontani e debellati.

Ci può aiutare, in questo, un bellissimo intervento, del 13 marzo1947 all'Assemblea Costituente, di Aldo Moro: «Non possiamo fare una costituzione afascista –osservava Aldo Moro- cioè non possiamo prescindere da quello che è stato nel nostro Paese un movimento storico, il fascismo, il quale nella sua negatività ha travolto per anni le coscienze e le istituzioni. Non possiamo dimenticare quello che è stato, perchè questa Costituzione oggi emerge da quella resistenza, da quella lotta, da quella negazione, per le quali ci siamo trovati insieme sul fronte della Resistenza e ora ci troviamo insieme per questo impegno di affermazione dei valori supremi della dignità umana e della vita sociale».

 A.N.P.I. sez. “Elisa Sala”
 Albiate-Macherio-Sovico

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