MACHERIO,UNA SERATA COL DUTUR


Sabato 5 novembre presso la sala mostre di Curt del Cagnat si è tenuta la presentazione del libro del dott. Roberto Redaelli “Sciur Ductur”, il sesto edito dal nostro giornale.

Medico, ciclista e anche scrittore, chissà se al dott. Redaelli è nota una vecchia polemica ottocentesca che puntava il dito proprio contro questi “medici tuttofare”. 

Disputa talmente accesa da coinvolgere persino la penna di un intellettuale del calibro di Carlo Cattaneo, espressosi in difesa dell’amico e medico-poeta milanese Giovanni Rajberti, nell’occhio del ciclone per quella doppia definizione: “Fra medico e poeta non v’è opposizione […] Eppure il volgo è così ignaro […] che inclinerebbe piuttosto a lasciarsi martoriare dal medico idiota, che a tollerarlo studioso […]. Nella nostra società municipale […] l’opinione di bello ingegno è tuttora quasi sinonimo di testa falsa e di pratica incapacità”. La presenza nutrita e bendisposta di pubblico dovrebbe rassicurare il nostro medico-scrittore.


“Sciur dutur” è il frutto di un lavoro di ricerca durato anni e perseguito con curiosità e passione. Condotto attraverso la consultazione delle polverose carte degli archivi del comune e della parrocchia. Con quale scopo? Ce lo svela lo stesso Redaelli: “omaggiare i tanti medici che ci hanno preceduto e che hanno dovuto superare pantani non facili ed epoche segnate da epidemie frequenti e micidiali”. 


Avendo a disposizione poche armi spuntate. Alcune notissime quali salasso e sanguisughe. Altre meno come il vomitano antimonio. Il libro illustra chiaramente come sia cambiato il ruolo, anche sociale, del medico attraverso i decenni. 

Evoluzione naturalmente condizionata dalle scoperte medico-scientifiche susseguitesi nel corso dei secoli. Per capirci meglio, il dott. Redaelli, se fosse vissuto tre secoli fa, sarebbe stato né più né meno che uno stregone, dalle labili competenze scientifiche, dedito a somministrare strani intrugli di erbe e chissà cos’altro (dimenticate i farmaci chimici, non era ancora tempo). 

Sarebbe certamente stato più affidabile, per i macheriesi di allora, invocare il santo guaritore di fiducia. Non sono solo il rapporto medico-paziente e le abilità mediche a essere cambiati. Anche alcune situazioni oggi scontate  rappresentavano nell’Ottocento un problema di non facile soluzione. Andare all’ospedale (come scoprirete leggendo “Sciur dutur” gli ospedali dell’epoca poco assomigliano a quelli attuali) significava lanciarsi in un’impresa sulla quale occorreva ponderare a lungo. 

Vuoi perché il mezzo di trasporto, asino o mulo, era poco adatto alle condizioni del paziente, vuoi perché era necessario il via libera del consiglio comunale. Un libro che pur privilegiando la storia di Macherio non rinuncia, com’è giusto, a guardare a un contesto storico-sociale più ampio. E che ha il pregio di smentire l’abusato ritornello “si stava meglio prima”. 

Ci si accorgerà, leggendolo, di quanto siamo fortunati e di quanto poco ci sia da rimpiangere di quel passato lontano. Se non altro per un aspetto con il quale i cittadini di allora, vuoi perché la prova della caducità della vita l’avevano davanti agli occhi tutti i giorni, avevano maggiore familiarità, ovvero l’accettazione della morte. 

L’idea che a un inizio dovesse corrispondere una fine. Non un insegnamento scontato in un’epoca come la nostra che chiede alla medicina di morire immortali. Montaigne, ragionando sulla morte, vedeva dell’altro: “la meditazione della morte è meditazione della libertà, perché chi ha appreso a morire ha disimparato a servire”. Che i vecchi macheriesi fossero meno in salute ma più liberi di noi?

Coviello Lucia Grazia

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