MACHERIO: HO VISTO
Tra le figure più impegnate e più
esposte nella lotta al coronavirus,
vi sono sicuramente medici e infermieri.
Abbiamo chiesto a due
nostri concittadini: il dott. Guido
Cattaneo e una infermiera, che
per disciplina contrattuale deve
tener riservati nome e luogo in
cui opera, le loro sensazioni nei momenti più virulenti del
contagio.
Questa la testimonianza del dottor Cattaneo:
Come è stato l’impatto con la
malattia sconosciuta?
Il Covid-19 fa parte della famiglia dei Coronavirus, così chiamati per la caratteristica forma
a coroncina visibile al microscopio e viene trasmesso attraverso
le goccioline di saliva o tramite
contatto diretto personale o toccandosi bocca, naso, occhi con
mani contaminate.
Questo virus proveniente dalla
Cina era probabilmente presente nelle nostre regioni ben prima della scoperta del paziente
1 nello scorso mese di febbraio.
Inizialmente l’infezione era stata etichettata come qualcosa
di poco più di una influenza.
Poi.......
La sua diffusione ha provocato
un cataclisma ad ogni livello:
sanitario, scientifico, economico, politico, e sociale.
Tutto è
stato travolto da un evento
che ci ha trovati impreparati in
ogni campo.
L’impatto sul sistema sanitario è
stato drammatico e la governance
sanitaria si è trovata in enorme
difficoltà. Si è cercato di mantenere unità di intenti a tutti i livelli
e, tra mille problemi, si è tentato di arginare e controllare la diffusione della malattia anche se
non sempre vi è stata sinergia
tra governo e regioni e le innumerevoli circolari sono talora risultate poco praticabili.
Quali disposizioni sono arrivate
per affrontare l’epidemia?
Dalla metà di febbraio alcune associazioni mediche hanno dapprima inviato avvertimenti ed indicazioni, poi un vero protocollo
e una scheda di valutazione per
il Covid-19. Dalla fine di febbraio l’ATS ha messo a disposizione numeri telefonici di emergenza e indirizzi mail di riferimento
attivandosi per garantire un attento monitoraggio dell’evolversi
dell’epidemia.
Purtroppo è stata molto tardiva
e inadeguata la fornitura di DPI
(dispositivi di protezione individuale) per cui noi medici e tutto il
personale sanitario siamo stati
mandati allo sbaraglio. Abbiamo provveduto personalmente
e con enorme difficoltà a recuperare mascherine, guanti, camici.
Come è cambiata la giornata del
medico? e come l’atteggiamento?
Come medici di famiglia abbiamo dovuto stravolgere la nostra
attività: sospese le visite in ambulatorio (fatto salvo situazioni
di urgenza non rinviabili), attivato il triage telefonico, garantita
la reperibilità telefonica h.12 (a
onor del vero h.24) e nei giorni
festivi, garantita la sorveglianza
attiva con telefonate ai pazienti
problematici, programmati contatti telefonici giornalieri con gli
ospedali per i pazienti ricoverati
(con notevoli difficoltà di comunicazione), attivata la segnalazione
dei casi sospetti all’ATS con indicazione all’isolamento, recupero
dei soggetti con contatti con po
sitivi al COVID-19.
Personalmente, nel periodo più critico, mi è capitato di ricevere un
centinaio di telefonate giornaliere.
Pertanto ad un ambulatorio praticamente deserto si contrapponeva un telefono perennemente
attivo: in entrata per i tanti pazienti che riferivano sintomi e
problemi o chiedevano informazioni e spiegazioni, in uscita per
il monitoraggio delle situazioni
più critiche e degli ospedalizzati.
C’era la necessità di gestire le
situazioni cliniche (febbre, saturazione....), le situazioni di fragilità (persone affette da altre patologie, persone anziane, persone
impaurite e preoccupate), le situazioni sociali (persone sole prive
di riferimenti).
La clinica non era la sola priorità: poco si sapeva della malattia, poco si poteva fare con sicurezza. Diventava ancora più
importante l’aspetto relazionale:
ascoltare, consigliare, rassicurare, decidere.
Un ricordo particolare.
Ricordo l’insistenza con cui ho dovuto lottare col 112 per ricoverare
un paziente. Ma più che i ricordi
(sarebbero tanti) una constatazione: la stragrande maggioranza dei
macheriesi si è comportata come
meglio non avrebbe potuto fare,
con senso civico e rispetto delle
ordinanze e un grazie va rivolto
ai tanti che hanno messo a disposizione tempo e risorse per coloro che ne avevano più bisogno.
Che insegnamento si può ricavare
da un evento così straordinario?
Questa pandemia ha evidenziato come la medicina del territorio, la medicina di famiglia, in
questi anni, in Regione Lombardia sia stata troppe volte penalizzata con risorse indirizzate
sempre più spesso e in maniera sempre più consistente verso
altri obiettivi.
È sul territorio che si deve intervenire. Ad oggi c’è una esagerata concezione ospedalocentrica.
Il fulcro di una politica sanitaria
deve essere sempre la persona,
non la malattia. Trattiamo la persona col diabete non il diabete,
trattiamo la persona cardiopatica
non la cardiopatia......
Il medico di medicina generale,
o di famiglia, cura la persona
conoscendone la storia, la famiglia, la condizione sociale, le sue
esigenze, le sue fragilità. Non
disperdiamo questo patrimonio
che ci ha collocato tra le eccellenze sanitarie mondiali. Questa
calamità ha confermato, se mai
ve ne fosse bisogno, che solo
come comunità si possono attivare le misure di salvaguardia
del nostro benessere.
Il bene di tutti è anche il nostro bene. Nessuno si salva da
solo. “Questa pandemia è giunta
all’improvviso e ci ha colto impreparati lasciando un grande senso
di impotenza. C’è l’esigenza di
una nuova fraternità, capace di
aiuto reciproco e di stima vicendevole” (Papa Francesco).
Mi permetto di rivolgere un grazie particolare al nostro Sindaco: in queste settimane ho sentito veramente la sua vicinanza,
ho constatato l’enorme lavoro
che ha svolto e ho apprezzato
quanto sia veramente vicino alla
comunità che amministra.
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