MACHERIO: L'EROISMO DELLE FAMIGLIE


Non è facile rispondere alla domanda ” Come stai?” dopo aver lavorato 70 giorni in un reparto Co-vid19. Ci ripensi ogni giorno ed ogni giorno provi emozioni diverse. Ma la cosa più strana è che le tue emozioni sono identiche a quelle provate da altri colleghi a contatto con pazienti affetti da Coronavirus. 

Ricordo le strade deserte, le bandiere dell’Italia appese ai balconi insieme a decine di cartelloni creati da piccoli pittori con la scritta ANDRÀ TUTTO BENE. 

Sembra strano, ma nel tragitto casa-ospedale caratterizzato sempre dalle lacrime (che non dovevo versare a casa davanti a mia figlia), vedere tutti questi messaggi mi infondeva quel coraggio che mi aiutava ad affrontare l’enorme paura di dover lavorare in un reparto Covid. 

Giunta in reparto, prima di superare la zona PERICOLO iniziava la vestizione: la divisa, un camice idrorepellente, una maschera FFP2, una maschera chirurgica, 2 paia di guanti, gli occhialoni, il copricapo e la visiera. Il tutto durava almeno 10 interminabili minuti: era la nostra armatura prima di scendere in campo ad affrontare il nemico che più spaventa...quello che è ovunque ma che è invisibile ai tuoi occhi. 

Prima di entrare ti ritrovi a pregare e a pensare alla persona più cara che hai perso chiedendo protezione: solo il cielo sa quanto ho pensato a mio padre! Inizi il turno e nei giorni che si susseguono ti rendi conto che sono proprio le persone malate di Co-vid, quelle che più temevi, che, in realtà, ti sostengono e ti danno la forza per affrontare i turni massacranti sia fisicamente che psicologicamente. 

Ogni paziente ha una storia complessa vissuta da raccontare: Marco che durante il suo ricovero ha visto morire ben 4 vicini di letto, da allora gli attacchi di panico sono ospiti indesiderati delle sue notti; Samanta, giovane donna con la sindrome di Aspergher, viveva con la mamma deceduta per coronavirus, disperata poichè incapace di autogestirsi; Sveva che dopo 40 giorni di ricovero scopre che il figlio diciottenne è stato allontanato da quasi tutto il condominio poichè possibile untore, sentendosi impotente per non riuscire a difenderlo dalla più grande delle cattiverie, quella dettata dalla paura; Martino che ha perso la moglie con cui ha condiviso 60 anni della sua vita e che si continuava a domandare perchè la morte non lo avesse portato con sè; Laila, giunta a noi dall’ospedale di Bergamo in condizioni critiche che ha superato discretamente perchè aveva un unico scopo per guarire: riabbracciare la figlia in quarantena a casa che non vedeva da diverse settimane prima di ammalarsi. 

I pazienti più complessi sono stati i colleghi: vedere un tuo simile ricoverato in un letto, con scafandro, spaventato, indifeso, è stato davvero difficile da superare! Ma da tutti loro durante le brevi conversazioni ho imparato qualcosa: da Marco l’umiltà di chiedere aiuto; da Samanta l’importanza delle amicizie vere; da Sveva l’amore che lega una madre ad un figlio; da Martino l’esistenza dell’amore vero fra un uomo ed una donna; da Laila la grinta di non arrendersi. 

Gli unici eroi di tutto questo periodo sono le famiglie: la famiglia di ogni sanitario o volontario gli ha permesso di essere presente nella lotta contro questo subdolo virus; la famiglia di ogni paziente gli ha consentito di affrontare il difficile periodo della degenza e della convalescenza, ma lo sono soprattutto le famiglie di coloro che sono deceduti perchè, credetemi, non c’è cosa più difficile che far morire un proprio caro solo in un letto di ospedale e doversene fare una ragione. 

V.G.

Commenti

Post popolari in questo blog

MACHERIO, PENSIERI SULLA PACE DEGLI ALUNNI DI MACHERIO

MACHERIO : E ADESSO RICOMINCIAMO

MACHERIO: PASSEGGIANDO PER IL PARCO DI VILLA BELVEDERE

MACHERIO, POLIAMBULATORIO, A DUE ANNI DALL'APERTURA...

MACHERIO: SCUOLA OLTRE L'OCEANO