MACHERIO: BELLE PANCHINE



“Il cittadino è l’abitante e il costruttore della città, una città per tutti, senza perdenti … dalla cura della persona alla cura della città … dalla cura della città alla città che cura”
F. d’Angella

Dureranno? Non voglio portare sfortuna o gettare nello sconforto ma l’interrogativo, frutto banalissimo dell’osservazione quotidiana, è più che giustificato e si è manifestato, invero, a molti di coloro che hanno partecipato all’inaugurazione di sabato 8 giugno. La Bellezza, che va a braccetto, e anzi precede, il buono (Bello e Buono dicevano gli antichi) oggi è fuori forma un po’ ovunque e purtroppo, come abbiamo spesso denunciato sulle pagine del nostro giornale, anche a Macherio. 

Presepi divelti, giro-libri a soqquadro, le panche del viale del cimitero abbellite dai ragazzi del Centro Disabili Diurno, abbruttite, nel giro di pochi giorni, da qualche anonimo avvezzo a tutt’altra estetica. La Bellezza come armonia, la Bellezza come meraviglia e capacità di stupirsi, la Bellezza come nobiltà d’animo, la Bellezza come arte e come dono, oggi sembra non abitare più qui. “La bellezza salverà il mondo”? Si sbrighi allora! 

Siamo accerchiati dalla bruttezza, marchio di una società nichilista, terminale e per questo disumana, che è, per sua natura, anche falsa e mediocre. Questo culto del brutto “ha invaso le nostre vite: la bruttezza del linguaggio, del vestire, del costruire; persino la Religione, in occidente, non è più capace di creare bellezza, e si accontenta di sguazzare nel brutto e nel banale, edificando pseudo-templi più simili a garage che a “luoghi di culto”, rinnegando migliaia di anni di estetica meravigliosa”. Che ne sarà di Nôtre Dame? Dovremo veramente arrenderci a vederla terreno di conquista per l’ego di qualche Archistar? Il contesto non è incoraggiante ma non per questo bisogna gettare la spugna. E sì, la spugna, come nella boxe, perché di lotta si tratta. 

Per difendere la Bellezza, e quindi l’Uomo, occorre partire dalla cura del famosissimo “proprio giardino”. Intendendo con giardino, o orticello, a seconda dei gusti, prima di tutto il proprio cervello. Il che prevede, tra le tante cose, anche saper formulare idee che siano belle e buone, da mettere, quando si presenta l’occasione, a disposizione della comunità e che siano finalizzate al miglioramento della stessa.


Un’ostinazione, direi quasi un’abitudine, che i condomini  di via Fumagalli a Bareggia conoscono a menadito e perseguono da diversi anni. Dalla festa di Halloween all’allestimento del presepe fino alla targa dedicata a Graziella Fumagalli e … forse altro che però adesso non mi sovviene. L’ultima iniziativa in ordine di tempo riguarda la riqualificazione delle panchine site proprio in prossimità dello stabile a opera degli allievi della Fondazione Stefania di Lissone, impegnata da decenni nel lavoro di inclusione dei disabili e delle persone più in difficoltà. Un progetto iniziato l’inverno scorso, tra ottobre e novembre, che è diventato terreno d’incontro e collaborazione tra i condomini e gli allievi nell’ambito del Laboratorio Cityart, finalizzato proprio alla costruzione di oggetti da mettere a disposizione del prossimo. 


Principio ben rappresentato dalle panchine: cos’altro può meglio semplificare l’idea dello stare insieme? Ai residenti il compito del trasporto e dell’installazione dell’arredo urbano, dall’altro gli allievi che tra colori, colla e carta di giornale (ingredienti da cartapesta!) hanno avuto la preziosa opportunità di sentirsi cittadini attivi e assumersi la responsabilità di lavorare per donare qualcosa di bello agli altri. Tra i temi scelti: il mare, la pace, la musica, la violenza contro le donne. È la prima volta, a Macherio e Bareggia, che la Fondazione coinvolge, nei suoi progetti, gli abitanti del posto. Si spera diventi anche questa una felice abitudine. A margine dell’inaugurazione il condomino Angelo Oggioni, per ringraziare gli allievi del loro lavoro, ha donato due quadretti alla Fondazione. Nobile gesto che ha amplificato il significato sociale della manifestazione.  

“La sfida è quella di andare oltre, verso la città che cura, che tenta di coinvolgere tutte le risorse di un contesto, di un conglomerato umano, di un paese o di una comunità vera o finta che sia, per occuparsi dei propri cittadini”
F. Rotelli.


Lucia Grazia Coviello











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