MACHERIO, IL PALLINO SOLIDALE
Incaricato
da questo giornale, mi sono ritrovato una mattina al bocciodromo presso la
“Combattenti”, oggi “Bar del Centro”.
Ma
cosa succede e cosa si fa in quel luogo, nelle mattinate dal martedì al venerdì
di ogni settimana?
Una
cosa semplice, ovvia e scontata: si gioca a bocce!
Lo
fanno gli appartenenti “speciali” a cinque associazioni della zona, oltre a
quelli del CDD di Macherio (coop.
Solaris): la Gioele di Lissone, il Seme di Biassono, il Sole (fondazione
Stefania) di Lissone, l'Iride di Monza e la Donghi di Lissone.
L'articolo
potrebbe (e/o dovrebbe?) finire qui!
Ma
come spesso succede (spero ai più) tracima emozione, un'emozione profondamente
umana, “guardare per vedere” all'opera, con lodevole impegno agonistico, degli
“umani diversi”, ma “simili”. Mai così, e mai più di così, simili al “noi”, che
spesso, troppo spesso, ci vantiamo di qualificare con l'appellattivo di
“normali”, esibendo tale status come una sorta di medaglia dovuta. Ovviamente,
senza mai domandare a noi stessi: perché (?), grazie a chi (?), per quali
meriti (?), a che pro (?), etc., etc.
A
me pare, in verità, che la “normalità” è come un “premio” dato in anticipo, è
una necessità della natura umana che, per essere veramente umana, obbliga chi
la possiede al “rispetto” degli altri umani. Rispetto che è valore della e
nella relazione, prima e di più dell'amore. L'amore, che giustamente si giudica
un gradino valoriale sopra, perché ci obbliga alla “conoscenza”, “comprensione”
e “giustificazione” dell'altro persino oltre il “se stesso”, è la qualità
necessaria al nostro incamminarci verso la difficile strada del nostro voler e
dover essere: “Umani tra Umani”.
Il
rispetto e l'amore sono ciò che ho visto negli accompagnatori (“umani normali”)
e negli occhi impegnati degli “umani speciali” che, sottostando alle regole del
gioco a loro insegnate, si sforzano di accettare e di vivere come “normale” (da
“umani normali”) la relazione “educativa” che ne scaturisce: in primis tra loro
ed in contemporanea con gli accompagnatori e con tutto l'ambiente a loro
intorno, gestori ed avventori del bocciodromo e del bar compresi.
Le
mattinate passate al bocciodromo non sono così solo e semplicemente dei momenti
ludici, sono davvero un esempio tra i più alti di “buona educazione”. Per comprendere
a fondo tale aspetto e farne oggetto di “riflessione umana”, necessaria per una
conseguente e corretta azione etica, dobbiamo confrontare questa “buona
educazione” con i troppi e purtroppo crescenti atti di “maleducazione”.
La
maleducazione non è certo legata ad un'età della crescita. Si è maleducati per
ogni relazione che poniamo in essere col solo intento, cosciente o no, di
reificare (rendere un oggetto, una cosa) gli altri umani, alterità che la vita
ci fa incontrare.
Ed
è così, allora, che un'accettabile e corretta “normalità” sta in tutte le
persone, così come ci appaiono nella loro diversità, sia essa d'età, di sesso,
di ceto, di razza, di abilità, di religione, di idee, etc. Infatti chi non
incontra l'altro nella sua specificità, giudicandolo per quello che è e non per
quello che fa, non è un “umano tra umani”.
In
un passato non troppo lontano, il semplice fatto di essere disabili, e/o
zingari, e/o gay, e/o ebrei, e/o portatore di idee differenti, era titolo
sufficiente per essere internati e sterminati.
In
un passato non troppo lontano, chi, in nome di un'aberrante ideologia, sanciva
con la violenza un unico modo di essere e vivere era una “bestia anormale” e
non un “umano normale”, ricco e portatore della propria singolare diversità identitaria.
Ciò
che succede quasi tutte le mattine della settimana al bocciodromo macheriese
della Combattenti è qualcosa di bello ed importante ed è un mattone, piccolo
quanto si vuole, ma essenziale per costruirsi una propria identità
relazionante, che determina e costruisce il progredire civile di tutta la
nostra realtà sociale. E' un mattone quanto mai necessario soprattutto di
questi tempi e soprattutto in questo nostro Nord d'Italia, che ha troppi soloni
della mistificazione, che nascondono, dietro gli errori ed i torti altrui, veri
o presunti che siano, la legittimazione (che non hanno il diritto di avere) per
perpetuare, sostenere e volere comportamenti e politiche di acritico rifiuto di
altre identità, in particolare degli “umani diversi e più deboli” per oggettivo
stato di bisogno.
Mi
è piaciuto aver fatto capolino una mattina al bocciodromo e aver esercitato,
con la mia vista stretta, la bellissima azione del “guardare per vedere”,
azione che ho la presunzione di riuscire a fare meglio oggi perché anch'io ho
spesso la necessità di essere accompagnato.
Mi
è piaciuto anche perché vivo, con serena normalità, l'età che una “poetessa
disabile” ha mirabilmente così sintetizzato:
«[...]
Tutti coloro che vivono vicino alla morte s'innamorano. Perché anche l'amore,
come la morte, fa paura. E così, non sapendo più che cosa temere, un'entità
accompagna l'altra, un'entità scongiura l'altra. Ma è l'amore la più bella
eutanasia che esista.» (A. Merini – La vita facile)
Andrea
Sala
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