MACHERIO, DON MARCO A MACHERIO....POCO
Più
che un'intervista classica con domande e risposte con don Marco Catalani si è
fatta una corposa chiacchierata. Una di quelle chiacchierate che, senza falsi
pudori, serve a conoscersi senza il banale assillo di determinare ragioni o
torti, o peggio, fingere di essere d'accordo per compiacente piaggeria. Sono,
insomma, le chiacchierate che rispettano le differenze degli interlocutori e
proprio da tali differenze traggono ricchezza d'umanità.
Andrea:
Dal 1° settembre se ne andrà via da Macherio, destinato ad altra comunità
parrocchiale. Lei così, volente o nolente, è rientrato in quell'esperimento di
qualche anno fa, che lasciava i giovani coadiutori solo tre anni nelle
parrocchie. Esperimento, mi permetta, un po' cervellotico che, nei fatti, non
rispettava le comunità e neppure permetteva un tempo adeguato ai giovani preti
per un'utile e significativa esperienza e per una più compiuta conoscenza delle
realtà, per lo più oratoriane, a loro assegnate.
Don
Marco: No, no! Nel mio
caso, non c'entra nulla la storia dei tre anni. La Diocesi con i “tre anni” ha
cercato di dare risposta alle difficoltà incontrate dai giovani preti che, dal
passaggio della vita ordinaria e ordinata del seminario alla parrocchia,
andavano sotto, si incagliavano.
Qui
è diverso. Tecnicamente la questione è così: quando vennero costituite le
comunità pastorali, venne fissata la durata di nove anni per la presenza dei
preti. In verità, per questa comunità (per la precisione costituita a novembre
di nove anni fa) gli unici arrivati a questa “naturale scadenza” erano don Giuseppe, responsabile, e don
Eugenio, vicario a Sovico. Si vociferava così,
per loro due, un contemporaneo spostamento. Per evitare di trovarsi a
settembre con un nuovo parroco della Comunità Pastorale alle prese con una
equipe completamente e/o parzialmente nuova (il più anziano per presenza
sarebbe stato don Simone), si è preferito trattenere ancora per qualche anno
don Eugenio, a Sovico,. Vista l'età dello stesso (circa 50 anni) è comunque
facile profetizzare che si fermerà solo un anno o due, per poi andare a fare il
parroco, dato che aumenta nella diocesi la scarsità di sacerdoti. Ogni anno
sono molti di più quelli che si ritirano per l'età, rispetto ai giovani
ordinati. Quest'anno sono solo nove, e la Diocesi così è sempre più alla
ricerca di nuovi parroci.
Mi
ricordo che lei, quando arrivò a Macherio, si presentò dicendo che era un
varesino e non un varesotto. Adesso torna nel Varesotto. Avrà l'incarico di
parroco?
Dissi
così perché la provincia di Varese è molto grande e c'è il rischio di
confondersi, così distinguevo tra la città e la provincia. Torno nel Varesotto
dove però ero già stato, esattamente a Lonate Pozzolo, parrocchia con Ferno.
Adesso,
con una super promozione (sorride), vado a Leggiuno, parrocchia in Comunità
Pastorale con altre tre chiese, a cui hanno aggiunto la parrocchia di Monvalle.
In tutto si contano meno di ottomila abitanti, disseminati sul vasto
territorio. Da Leggiuno (circa 3.700 abitanti) a Monvalle ci sono sei
chilometri e mezzo, più che da qui a Monza. Sono solo, per cui dovrò occuparmi
anche degli oratori, oltre ad assolvere alla celebrazione delle funzioni, ecco
perché è stato nominato un prete relativamente giovane, automunito, in grado di
potersi muovere … e poi, e poi si vedrà cosa succede. Per la verità, sabato e
domenica, avrò l'aiuto di un sacerdote del Seminario di Venegono.
Spero
di avere qualche altro aiuto. Per la verità, ci sono delle suore, ma hanno una
casa d'esercizi: Domus Pacis (?), e non fanno servizio in parrocchia. Poi c'è
il santuario di Santa Caterina del Sasso Ballaro, che però, pur essendo sul
territorio di Leggiuno, è di proprietà della Provincia di Varese, gestito un
tempo da un ordine monastico e poi (ma non lo so di preciso) da un prete
anziano. Comunque il santuario, bellissimo tra l'altro, non è di pertinenza
della parrocchia, né dal punto di vista della gestione economica, né da quella
religiosa.
Lei
non sa se sarà sostituito qui a Macherio?
Credo
di non dire niente di segreto, se ne è parlato anche in Consiglio Pastorale, ma
al momento non è prevista nessuna sostituzione. Penso che anche per il futuro
non ci saranno grosse possibilità in tal senso, stante la scarsita di preti.
In
merito alla comunità pastorale mi permette un appunto, ovviamente non a lei, ma
diciamo così al sistema in generale: come si fa a istituirla, con tutto il peso della novità
organizzativa, mettendo a capo della stessa il parroco di Biassono!!!
Ci
si è trovati, senza nessuna preparazione, a dover superare, lo dico per tutte e
tre le comunità, le incrostazioni di uno storico campanilismo (a volte
negativamente anacronistiche, ma contemporaneamente espressioni di un segno
identitario) e non si è cambiata la
figura guida della stessa neonata comunità. Mi
pare che si sia partiti male, malissimo. Lo dico anche a favore e
giustificazione del parroco don Giuseppe che, incolpevolmente e/o volente o
nolente, ha continuato ad essere agli occhi della stragrande maggioranza della
gente, sia a Macherio che a Sovico, più il parroco di Biassono che quello della
neonata “Comunità pastorale Maria Vergine Madre dell'Ascolto”.
E'
un discorso non facile! Diciamo pure e meglio: difficile!
Credo
che tutte le proposte innovative, ad esempio la permanenza di soli tre anni dei
giovani preti, sono tentativi di costruire modelli nuovi di presenza, non solo
dei preti, ma anche dei laici nelle diverse comunità parrocchiali. Comunità che
vivono in simbiosi con una realtà sociale molto cambiata rispetto al passato.
Prima si premeva per riempire gli oratori, far emergere tante vocazioni, avere
così tanti preti e così via. Oggi molti preti vengono da fuori: da
associazioni, gruppi, etc. Ciò ci deve
far pensare che da una parte, come oratorio, abbiamo perso qualcosa e che
dall'altra è la figura del prete che necessita di rinnovarsi, pena ad esempio
lo scomparire, con la sua dipartita per altra destinazione pastorale, di ciò
che si è creato, modello educativo compreso.
Lo
dice uno che è cresciuto in oratorio e che, facendosi prete, non si vedeva e
pensava parroco, ma prete d'oratorio. Ancora oggi si caldeggiano modelli del
passato che non sono maggioranza nel mondo in cui viviamo e che rischiano di
essere controproducenti o meglio: rischiano di “contrastare” (tra virgolette)
l'azione dello Spirito che c'è e che opera nella storia.
Duecento
anni fa, quando è arrivato don Bosco, ci è voluto uno che avesse un'intuizione,
per noi di oggi normale, ma a quei tempi assolutamente assurda, tanto che lo
volevano portare in manicomio. Ecco, io credo che in realtà il Signore ci stia
già suggerendo nuove strade di “apostolato missionario”.
Comunque,
lo dico anche con grande fede nel mistero che si cela dietro: “da prete,
obbedire al mio vescovo, più di tutto, costruisce la Chiesa”.
E
Macherio? Da noi si dice “a Maché in poc ma in ase” ...
In
effetti l'ho percepito più volte, anche nei ragazzi, questo atteggiamento. Devo
però dire, e in tutta onestà non me lo so spiegare, che traspare in maniera
netta, oltre alla disponibilità di un volontariato laico significativo, ma
comune a molti paesi della Brianza, una peculiare sensibilità missionaria, che
ha radici storiche. Alludo a padre Liberato, padre Rinaldo Nava, e più di
recente a don Gigi e don Luca, preti diocesani temporaneamente in missione, a
suor Marina e don Tommaso.
In
conclusione, in sintesi estrema, con una sola parola Macherio come è stato?
Poco!
Nel senso che sono rimasto poco.
Andrea Sala
Andrea Sala
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