MACHERIO, AMMINISTRARE RESPONSABILMENTE




Mariarosa Redaelli

L’accoglienza non è certo un tema popolare, nemmeno ai tempi di papa Francesco, né tanto meno una scelta politica che porta consensi, ma il mondo in cui viviamo ci impone di non chiudere gli occhi. Chi è chiamato ad amministrare deve rispondere alle necessità del presente e guardare agli obiettivi di crescita civile. Piaccia o no, la realtà dei rifugiati esiste, come è noto arrivano a migliaia sulle coste italiane, si spostano verso Milano con l’obiettivo, il più delle volte, di raggiungere i Paesi del Nord Europa che hanno politiche di asilo più strutturate. L’emergenza in Italia va governata, fosse anche solo per una permanenza temporanea sul nostro territorio.


Da mesi la Prefettura, l’istituzione che rappresenta il governo nelle province, ha chiesto la collaborazione dei Comuni, non solo del nostro, per dare un alloggio a queste persone in fuga dai propri Paesi. Intraprendere un percorso di accoglienza è complicato per chiunque, soprattutto in questo momento in cui le amministrazioni comunali sono già tartassate per altri motivi, le richieste da parte dei cittadini in difficoltà sono crescenti e le risorse a cui attingere sempre meno. Ma è cruciale che degli amministratori seri non si sottraggano a questa sfida del nostro tempo e tentino di offrire letture meno semplificate di quelle che circolano. E’ troppo facile dire “aiutiamoli a casa loro” o gridare “no ai profughi” quando sono già qui.

Di fronte alla richiesta della Prefettura avevamo due possibilità: fingere di non vedere e sapere, di non essere coinvolti ritrovandoci sicuramente con una decisione calata dall’alto, oppure assumerci la nostra responsabilità.

Avevamo scelto di intraprendere questa seconda strada, come dovere morale.  Per questo ci eravamo dichiarati disponibili ad accogliere un numero limitato di profughi, quattro, che sarebbero stati ospitati presso una struttura comunale, adiacente al Centro per la famiglia, ex sede dei pensionati. Un appartamento attualmente libero che non rientra nell’elenco degli alloggi da destinare ai macheriesi in difficoltà. La Cooperativa La Grande Casa ­– la stessa che gestisce il Centro per la famiglia, con la quale il Comune collabora da diversi anni e che ha esperienza consolidata in tema di accoglienza – avrebbe gestito anche il nostro progetto su mandato indiretto della Prefettura.

Eravamo convinti di poter avviare un’esperienza positiva, che potesse assicurare un’integrazione sicura all’interno di una comunità che si fa carico delle persone e che potesse risultare un modello a cui fare riferimento. Le condizioni erano state create: avevamo la certezza della collaborazione di altri soggetti come la Parrocchia, da subito dimostratasi sensibile al tema; la Cooperativa avrebbe assicurato la cura degli aspetti pratici e della quotidianità di queste quattro persone, che a loro volta avrebbero potuto svolgere piccoli lavori di manutenzione sul territorio: un modo concreto per restituire alla comunità l’impegno assunto nei loro confronti. Il tutto a costo zero per il Comune, anzi si era anche stabilito un canone di affitto per gli spazi occupati che sarebbero entrati nelle casse comunali.

Il cammino era stato definito, la Prefettura ne era perfettamente a conoscenza e, nel momento in cui si era ormai arrivati a sottoscrivere il contratto, dopo aver superato tutte le formalità, sono venuta a sapere che dieci persone di origine pachistana sarebbero presto entrate in due appartamenti sfitti di via Cadorna. Tutto si è svolto per trattativa privata, come accade per qualsiasi proprietario che intenda affittare un suo appartamento a chiunque. Il contratto di locazione è stato stipulato da una cooperativa per conto della Prefettura, senza ovviamente cercare il coinvolgimento diretto dell’amministrazione comunale.
La notizia ha letteralmente spiazzato me e i miei collaboratori. A quel punto abbiamo ritenuto di sospendere il nostro progetto per evitare che la presenza di altri profughi potesse avere un impatto troppo forte sulla nostra comunità.

È comprensibile l’urgenza di trovare nuovi alloggi per i profughi, vista la necessità della Prefettura di alleggerire il centro Botticelli di Lissone e il centro Spallanzani di Monza, oggi superaffollati. (Si tratta di strutture comunali in cui alcuni spazi devono essere riservati ai residenti in previsione dell’emergenza freddo, ormai imminente). 
Ma qualche considerazione sul metodo va fatta. Ripeto: tutti erano a conoscenza  del nostro progetto, eppure, intanto, si stava già procedendo in altro modo, bypassando completamente il Comune di Macherio, senza nemmeno avvisarlo. Scelta legittima e perfettamente legale ma, secondo me, eticamente inopportuna. Perché è venuto completamente a mancare lo spirito di collaborazione tra istituzioni.
Di fronte a questa situazione, adesso, cosa può fare il sindaco? Può impegnarsi a tenerla monitorata, a chiedere garanzie su un processo che va gestito, può continuare a rivendicare la necessità di politiche inclusive diverse, condivise, pensate, e di metodi diversi. E ha il dovere di informare i suoi concittadini su come sono andate le cose.
L’intervento sociale è necessità imprescindibile per garantire convivenza civile e serena e la strada da imboccare è quella del coinvolgimento, nella ricerca di ciò che accomuna e unifica, in cui gli scambi fiduciosi prevalgono sulle competizioni .



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