DONNE: LIBERE DI ESSERE



Parlare di violenza contro le donne è qualcosa che riguarda tutti, a prescindere dal sesso, dall’età e della situazione economica e sociale. La violenza di genere si manifesta in molti modi e in diversi contesti, da quello famigliare a quello professionale, non solo fisicamente ma anche a livello psicologico e sociale.

La violenza e i femminicidi di cui spesso sentiamo parlare sono solo l'apice di una spirale di abusi che inizia con gli stereotipi, i comportamenti sessisti, la differenza di genere applicata a stipendi e qualifiche professionali.

Nonostante qualcosa stia lentamente cambiando con gli anni grazie alle donne stesse, unite fra loro e alle varie Associazioni che lottano per i loro diritti, il divario di genere è ancora profondamente radicato nella cultura, con la conseguente violenza a cui assistiamo nella realtà quotidiana.

La fotografa Rossella Rossi, in arte IB Ross Rossi, ci guiderà attraverso l’intervista alla scoperta del suo progetto fotografico "Fiera - Libera di Essere". L'artista punta all'obiettivo di diffondere bellezza attraverso sguardi femminili limpidi e sicuri di donne e bambine libere di potersi esprimere per ciò che sentono di essere. Il lavoro, con una mostra che diventerà itinerante, ha l'ulteriore scopo di sostenere quelle donne che vivono in situazioni di difficoltà e di fragilità. Un progetto che trova la collaborazione di CADOM, ’Associazione Centro Aiuto Donne Maltrattate di Monza. La vicepresidente di associazione, Marilena Arena, ci parlerà del progetto “Una stanza per tutte” avviato anche a Macherio presso il Poliambulatorio facendoci conoscere le difficili realtà in cui le donne spesso sono costrette a vivere, senza essere ascoltate e capite.

 

Abbiamo iniziato a porre alcune domande a IB Ross Rossi per conoscere dalle sue parole il progetto

 

Da quando hai deciso di occuparti di discriminazione di genere in qualità di fotografa e di dare vita al progetto: " Fiera - Libera di Essere"?

Si tratta di un progetto nato tre anni fa: 37 ritratti di donne e bambine, che parlano di identità femminile e della libertà di esprimerla. Un lavoro che vuole dare voce alle donne, al nostro desiderio di esprimerci per ciò che siamo, senza imposizioni, costrizioni, condizionamenti.

Questo, in linea di massima, l'aspetto concettuale. Per quanto riguarda l'aspetto tecnico, essendo amante delle 'contaminazioni' viste come caduta di barriere e arricchimento reciproco, la mia fotografia è di genere 'pittorico', e ogni ritratto è lavorato per assomigliare ad un dipinto a pastello. Sempre in tema di contaminazione, ho voluto unire la parola alla fotografia e alla pittura, attraverso la collaborazione dell'amico poeta Giuseppe Rizzo Schettino che ha scritto per ogni modella una poesia. Si tratta dunque di un lavoro unico nel suo genere, per un risultato in cui più forme d'arte si incontrano, fondendosi insieme creando un meraviglioso impatto emotivo.

Parlaci del progetto e da quali riflessioni sei partita per decidere di lavorare su questa tematica

 Nel mio progetto la donna si riappropria della sua identità, di genere e personale. Ognuna delle donne e bambine ritratte si racconta, posando lo sguardo fiero e limpido sull'osservatore. Ho ritenuto l'intero progetto il vettore adatto per un percorso alternativo di sensibilizzazione sul tema. Ecco che nasce così una collaborazione con Associazioni come Cadom, mettendo a disposizione un potente mezzo comunicativo come la fotografia e coinvolgendo le donne attraverso l'identificazione di sé in un modello positivo.

Non mi stancherò mai di ribadire che la violenza di genere è solo il risultato più evidente di ciò che comporta una cultura basata sulla prevaricazione, sottomissione e svalutazione della donna, una cultura generata da una mancanza di educazione di uomini e donne ma soprattutto di bambine e bambini. Volendo affrontare il problema più a fondo ho chiesto alla vicepresidente di Cadom, Marilena Arena, una collaborazione allo scopo di sensibilizzare in maniera ancora più significativa.

 Come sei riuscita a rappresentare la violenza sulle donne nel progetto fotografico?

 Nel ritratto la posa della donna ha un valore “simbolico”, ho voluto rappresentarla nel suo essere se stessa, senza traccia di discriminazioni, di stereotipi, né tantomeno di violenza; libera dunque di esprimere il suo essere, la sua persona. L’immagine in sé rappresenta un concetto, mentre la poesia è un rafforzativo del concetto stesso.

 Come è nata la collaborazione con l’Associazione Cadom?

Ho fatto riferimento ad un'organizzazione che comprende una serie di Associazioni contro la violenza e la discriminazione di genere, si chiama Di.re - Donne in rete contro la violenza, con sede a Roma. In occasione dell'inaugurazione della mostra 'Fiera - Libera di Essere' una relatrice di Cadom terrà una breve conferenza sul tema. In seguito, la mostra diventerà itinerante inizialmente sul territorio lombardo, in collaborazione anche con altre associazioni. La mostra sarà corredata di un libro fotografico, ed il ricavato della vendita andrà a sostenere l’associazione che collabora per il progetto Fiera.



Nella seconda parte abbiamo posto alcune domande alla vicepresidente della Associazione Centro Aiuto Donne Maltrattate.

 

Quando nasce l'Associazione Cadom e in cosa consiste la vostra attività?

 Il Centro aiuto Donne Maltrattate è nato a Monza più di ventisette anni fa, grazie all’intuito ed all’impegno di alcune amiche che, durante il loro volontariato presso il Cadmi -Centro antiviolenza di Milano- si resero conto che la richiesta di aiuto delle donne arrivava anche dai piccoli centri di provincia e non solo dalle grandi città. Facciamo parte della rete D.I.RE, che raccoglie più di ottanta centri antiviolenza in Italia, e operiamo convinte del progetto politico alla base del nostro volontariato, che consiste nel contrasto alla violenza di genere e nella diffusione della cultura dell’uguaglianza. Per diventare volontarie bisogna seguire un corso di formazione, impegnativo e professionalizzante, tenuto dalle nostre psicologhe e psicoterapeute, dalle nostre avvocate e da volontarie esperte. Dopo un tirocinio, affiancate da una tutor entriamo in contatto con le storie delle donne che decidono di rivolgersi al Centro e, solo quando ce la sentiamo, partecipiamo ai colloqui. Colloqui che svolgiamo in due, proprio per supportarci nella fase delicata dell’ascolto di racconti a tratti dolorosi e drammatici. Le donne che si rivolgono a noi vengono accolte, ascoltate, credute e non giudicate. Il non giudizio è uno dei messaggi più importanti che vorrei mandare anche qui, attraverso le vostre pagine. Il nostro è un ascolto empatico, attento e accogliente, attraverso il quale, spesso, chi parla riesce ad ascoltare sé stessa per la prima volta dopo molti anni. Sarà poi l’autodeterminazione della donna a dettare i tempi, le modalità e il percorso da intraprendere. Il nostro obiettivo è quello di riattivare la parte positiva, la forza delle donne che si rivolgono a noi, costrette per molto tempo ad impiegare quella stessa forza per difendersi dalle violenze psicologiche, fisiche, economiche e sessuali. Il progetto fotografico “Fiera di Rossella” è importante per noi Associazione per trasmettere il messaggio che la violenza domestica non si manifesta solo con dei lividi o arti rotti, ma traspare anche, anzi soprattutto, attraverso sguardi passivi e spenti da violenza psicologica, costante e crescente nell’arco di anni. Il contrario di quanto invece traspare dal viso delle donne fotografate da Rossella, così presenti a sé stesse…

 Ci parli del progetto “Una stanza per tutte”.

 È un'appendice importante del nostro volontariato, una sentinella sul territorio di potenziali casi di maltrattamento, e non solo. Grazie anche all'amministrazione Macheriese sensibile al tema, abbiamo voluto creare sul territorio un luogo di ascolto per le donne, delle loro fatiche di vita quotidiana, sempre crescenti insieme alle preoccupazioni. Soprattutto in questo periodo di Covid-19 abbiamo visto e letto quanto le donne sia state oberate di impegni familiari e lavorativi. Noi, con il progetto “Una stanza per tutte”, vogliamo creare un luogo di ascolto attraverso il quale far conoscere loro i diritti e le opportunità offerte dal territorio. Grazie per questa ulteriore diffusione del nostro progetto; servirà, spero, ad avvicinare le donne che leggeranno queste pagine.

 

Dopo aver conosciuto meglio sia il progetto “Fiera” che l’Associazione Cadom, nella terza parte con la collaborazione della fotografa Rossella e della vicepresidente Marilena abbiamo analizzato a fondo il grave problema culturale e sociale della violenza sulle donne.

Quali sono le motivazioni che bloccano le donne ad utilizzare centri di ascolto e di aiuto? Quanto è importante l’aiuto della famiglia, della società e delle istituzioni?

 Ci troviamo spesso davanti a donne che raccontano violenze che vanno avanti da anni e anni. La nostra prima domanda, qualora ne avessimo una, non sarà mai “perché”, per il giudizio che contiene quell’interrogativo. Emergerà certamente negli incontri successivi, ma non sarà per noi la parte più importante del vissuto raccontato, e noi le staremo accanto. I motivi per cui si “tarda” a ribellarsi possono essere tanti: paura, difficoltà economiche, credibilità tra i parenti, minimizzazione dei propri racconti da parte delle amiche, genitori, forze dell’ordine. La violenza domestica è quasi sempre un insieme di aggressioni psicologiche, fisiche e sessuali, a cui si accompagnano spesso le deprivazioni economiche. Le donne che subiscono violenza vivono nella paura di dire o fare qualche cosa che possa far scatenare la reazione violenta del maltrattatore. Questo spesso agisce, diciamo, “ad intermittenza”, creando ancor di più confusione e insicurezza in un ambiente culturale comunque ancora intriso di patriarcato, per il quale il ruolo della donna è ancora quello di cura dei figli, cura della casa, mentre all’uomo spettano le decisioni importanti per i figli e per la moglie stessa. Come la richiesta, che arriva puntuale dopo il primo figlio, a lasciare il lavoro. Da quella decisione deriva, in molti casi a noi noti, l’escalation delle violenze che comincia proprio con la denigrazione della compagna accusata di incapacità e di inadeguatezza dal maltrattante, proprio per il suo stare fuori dal mondo del lavoro! Oggi la percentuale delle donne occupate è tra le più basse d’Europa. La diseguaglianza economica tra uomo e donna è una delle cause della violenza domestica, trasversale comunque a tutte le classi sociali, culturali e scolastiche. Noi in Associazione stiamo improntando diversi progetti per aiutare le donne a riprendere in mano la propria vita lavorativa.

 Quali passi si sono fatti per quanto riguarda le leggi contro la violenza sulle donne?

I centri antiviolenza hanno svolto un ruolo fondamentale negli ultimi 40 anni perché hanno disvelato ai più, che non volevano saperne, la violenza domestica agìta, soprattutto nelle famiglie. Hanno raccolto dati importanti, statistiche su ogni aspetto riguardante le vittime dei maltrattanti, utilizzati poi dal legislatore per produrre anche buone leggi. Sono stati fatti passi avanti importanti se solo si considera che ancora nel 1981, esattamente quaranta anni fa, esisteva il delitto d’onore che diminuiva la pena a chi uccideva la moglie, la sorella, la figlia che aveva commesso un adulterio...l’onore dell’uomo valeva più della vita di una donna, insomma. Negli anni si sono introdotte nuove leggi migliorative, come quella che definisce lo stupro come un reato contro la persona e non contro la morale, prevedendo quindi una pena maggiore. Come la legge sullo stalking e il Codice Rosso. La più importante resta comunque la Convenzione di Istanbul, una delle leggi internazionali per i diritti delle donne tra le più importanti e meglio scritte, che riconosce soggettività giuridica alle donne. Siamo fiduciose e ci adoperiamo con il nostro volontariato costantemente, affinché venga conosciuta ed applicata in tutti i tribunali, Civili e Penali. Purtroppo, non sempre avviene. Un Paese può dotarsi di leggi importanti ma è necessario che esse vengano implementate su un tessuto culturale e sociale idoneo ad accoglierle, altrimenti non producono gli effetti positivi sperati.

La violenza sulle donne riguarda anche gli ambienti lavorativi. Quali sono i diritti che si devono ancora conquistare, ed è migliorata la situazione negli ultimi anni?

 Passi avanti ne sono stati fatti, ma le statistiche dicono che gli ambienti lavorativi sono tutt’ora i posti dove le donne rischiano di incorrere in violenze e molestie. Inoltre, ad oggi sono ancora pagate di meno rispetto ai loro colleghi ed a parità di mansioni. I ruoli apicali nelle aziende sono ancora occupati prevalentemente da uomini. Le garanzie per i lavoratori, diminuite negli ultimi anni, non hanno agevolato le donne che, quello che hanno ottenuto, se lo sono guadagnato studiando di più e con gavette più lunghe. Poi arriva il Covid e chi perde il posto? La donna, come dicono i dati dell’ultimo anno, soprattutto per la precarietà delle posizioni lavorative occupate da loro.

Al giorno d'oggi vengono utilizzati molto i social con foto e video. Quanto è importante una buona educazione, per le ragazze ed i ragazzi, all’uso dei social?

 Ogni donna, come ogni uomo, ha il diritto di immaginarsi e di vestirsi come meglio crede, e di sentirsi padrona e consapevole, soprattutto in una società delle immagini come quella attuale. Quello che sembra mancare a molte ragazze giovanissime di oggi, è proprio la consapevolezza del proprio corpo, e dell’uso che se ne fa. Ci troviamo quotidianamente davanti ad immagini di labbra, glutei, seni, insomma ad una “oggettivazione” che le porta inconsapevolmente a diventare vittime di un mondo che chiede loro una de- umanizzazione, una riduzione della propria dignità, per il piacere altrui, piuttosto che per il proprio.

Sotto il profilo culturale e sociale, per contrastare la violenza domestica qual è l'importanza di formare le giovani generazioni?

Come ho già detto prima un Paese può dotarsi di leggi importanti ma è necessario che esse vengano implementate su un tessuto culturale e sociale idoneo ad accoglierle, altrimenti non producono gli effetti positivi sperati. Parte importante quindi del nostro volontariato consiste proprio nell’andare nelle scuole, di ogni ordine e grado, dalle Materne alle Università, per trasferire ai bambine/i e ragazze/i di oggi, donne e uomini di domani, quanto noi abbiamo imparato in tutti questi anni di volontariato, rispetto all’uguaglianza di genere tra donne e uomini. Sappiamo che c’è ancora molto da fare, anche negli ambienti che vengono in contatto con la violenza, come le FF.OO., le amministrazioni della Giustizia e le AA.SS. ma abbiamo riscontrato da diversi anni ormai una maggior attenzione alle donne che decidono di denunciare. Siamo fiduciose che una sempre maggiore collaborazione tra le varie figure istituzionale che operano su un territorio-nel nostro caso questa collaborazione avviene tramite Rete Artemide - possa aiutare a contrastare in modo efficace la violenza domestica.

 Vi ringraziamo per l’intervista e vi auguriamo buon lavoro.

Alessandro Casiraghi

 

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