MACHERIO, FUORI DALLE ORBITE




Nella famosa fiaba di Andersen, a differenza di un popolo cieco e acriticamente acquiescente, bastano gli occhi sinceri di un ragazzino per disvelare la verità che mostra un imperatore in mutande. 

I vestiti più ricchi e preziosi, creati con una stoffa magica, millantati da due imbroglioni spacciatisi per sarti, semplicemente non esistono e, non esistendo, disvelano la più pericolosa assuefazione ad una presuntuosa ideologia che, lungi dall'essere portatrice di sereno giudizio sulla realtà: nasconde i problemi, cerca solo inopportune ed inesistenti scusanti, inventa nemici e fantomatiche necessità, tutte tese alla difesa di una falsa identità che crede di poter essere tale ed esistere solo perché rifiuta l'onere ed il dovere primario della convivenza umana.

Mi è venuto alla mente questo lontano ricordo di fiaba col rimando alla sua morale, mercoledì 9 agosto scorso, in occasione della prenotazione, presso il CUP dell'Ospedale San Gerardo, di due prestazioni sanitarie: “Esame del campo visivo” per il 9 marzo 2018 (dopo 212 giorni) e “Visita oculistica” per il 22 gennaio 2019 (dopo 531 giorni).
Che bello (sic!) vedere la sanità lombarda che ci dicono, ad ogni piè sospinto,  veleggiante sicura nello spazio-tempo dell'ECCELLENZA!!!
“O no, ... non veleggia???”

C'è una risposta che spesso si sente aleggiare tra i soloni del pressapochismo!
“Per forza, abbiamo una sanità pubblica che non riesce ad essere efficiente come quella privata! Si sa: privato è bello: più organizzazione, più razionalizzazione, più equilibrio fra costi e prestazioni, più economie di scala, meno “lazzaroni”. Insomma è bene ripetercelo in due parole: il privato, rispetto al pubblico è più funzionante e più funzionale.”

In verità dalla legge 31 del 1997 (giunta Formigoni), si è sempre parlato di “eccellenza della sanità lombarda” (???) che aveva voluto introdurre il modello contrattuale (sull'esempio della riforma Thatcher del 1991), fissando i rapporti fra acquirenti (ammalati)/finanziatori delle prestazioni sanitarie e i produttori/ospedali, sulla base di un contratto in cui si fissano: quantità, tipologia e prezzi delle stesse prestazioni sanitarie.

Il principio di libera scelta, enfaticamente pubblicizzato, ha di fatto permesso di contrattualizzare tutti gli ospedali accreditati, sia pubblici che privati. Il “vestito” così confezionato per la sanità lombarda si è dimostrato in molti casi tanto sfaldato e inesistente da lasciarla in “mutande”. Infatti, mirando al controllo/contenimento economico delle prestazioni sanitarie (non certo della macchina burocratica) più che al reale fabbisogno di cure da parte dei cittadini del proprio territorio, si sono spesso incentivate distorsioni quali: un consumo acritico delle prestazioni sanitarie stesse (famoso l'incremento in un anno del 600% degli interventi al menisco) e/o l'abbandono progressivo, da parte dei privati, di tutte quelle prestazioni a minor remunerazione e/o vere e proprie invenzioni di malattie, sino a conseguenze criminali (su tutti la vicenda della Clinica Santa Rita di Milano).

C'è seriamente da chiedersi se, anche per l'erogazione di prestazioni di controllo per lo più a fronte di malattie croniche (come quella del sottoscritto), sia accettabile un'attesa di 531 giorni. E se questo “tempo d'attesa” per la sua valenza emblematica, sommata ad uno spreco incontrollato delle risorse umane e finanziarie del segmento “merceologico” della sanità, non apra grossi dubbi, non solo su una fantomatica eccellenza, ma piuttosto su una gestione della nostra Regione, perpetrata ormai da 20 anni da precise, corresponsabili e univoche responsabilità politiche (giunte Formigoni 1995-2013 e Maroni 2013-oggi [sino 2020]).

In conclusione, val la pena notare che, sull'onda del cosiddetto Libro Bianco della Giunta Maroni (2014), si sta procedendo all'attuazione della nuova riforma sanitaria regionale del 2015. Il punto di partenza è, nell'idea della Regione, il passaggio dal "curare" il paziente al "prendersene cura". Si passa così da un modello contrattuale ad un modello integrato, ovvero un'unica azienda che è allo stesso tempo assicuratore/finanziatore (ci mette le risorse) e produttore di servizi (cura i malati).

Si prepara così un nuovo “vestito per l'imperatore”? Vedremo.

Da parte del sottoscritto, in quanto malato cronico (in Lombardia siamo oltre 3.300.000 soggetti), si attende di capire come e cosa cambierà nel controllo e nella gestione delle diverse forme di malattie irreversibili.

Per sfizio e vizio personali, in una prima disamina della riforma, non mi sembra che  potrebbero esserci apprezzabili riduzioni dei costi (coi relativi sprechi) della sanità lombarda. Premesso che le 15 ASL (Azienda Sanitaria Locale) saranno sostituite da 8 ATS (Agenzie Tutela della Salute), non si capisce bene cosa faranno queste ultime, in quanto tutte le prestazioni in capo alle vecchie ASL (servizi di sanità pubblica, prevenzione, cure primarie, assistenza domiciliare, sociali e veterinari) saranno inglobate “in maniera integrata” nelle nuove ASST (Aziende Socio Sanitarie Territoriali). Per farla breve, invece delle attuali 15 ASL, 29 Aziende ospedaliere (AO), 1 Azienda regionale per l'emergenza e Urgenza (AREU) per un totale di 45 aziende con 150 direttori (direttori generali, sanitari, sociali, e amministrativi), avremo 38 enti e 149 direttori (da sempre, di stretta nomina dei partiti della maggioranza politica lombarda).

Ma si sa, i lombardi sono pazienti (diamo tempo a tutti di migliorare) e tradizionalisti (niente avventurismi, soprattutto quando si vota). Peccato che così, spesso si vedono vestiti inesistenti e non si vedono le mutande. Soprattutto ci si balocca in maniera sproporzionata coi fenomeni e problemi del vivere sociale: si dà così smisurato rilievo a realtà strumentalmente e populisticamente usate come cortina fumogena (immigrazione su tutti), dimenticando gli autentici disastri perpetrati dai ventennali padroni del vapore (inutili colate di cemento permesse e sostenute [Pedemontana tra gli ultimi esempi], incessante scempio delle risorse finanziarie, che mina alla radice la credibilità di un'autonomia tanto sbandierata quanto negata agli enti sottoposti [Comuni in testa], etc., etc., etc.).

Alla fine è proprio il caso di dire: “chi vivrà, vedrà”.

Andrea Sala

                                                           




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