MACHERIO, COSTRUIAMO PONTI, NON MURI


Un silenzio assordante, una mancanza di informazione costante se non in caso di fatti terribili è quanto sta accadendo sulla situazione di guerra in Siria dal 2011 ad oggi, da quando i cittadini hanno cercato di uscire dalla dittatura che li opprime ormai da moltissimo tempo. 

Da quel giorno ad oggi, sono iniziati una serie di bombardamenti contro il popolo Siriano creando un numero enorme di morti 500 mila oltre ai quali si contano 1 milione di feriti, 9 milioni di persone con bisogno di alimenti per sopravvivere e 2 milioni di bambini senza scolarizzazione. A queste numeri di persone vanno aggiunti altri 7 milioni di profughi interni alla Siria,4 milioni circa di rifugiati in paesi confinanti e più di 5 milioni di bambini in grave pericolo per mancanza di cibo e assistenza medica. 

Numeri angoscianti che ci vengono consegnati dallo scrittore italo- siriano Shady Hamadi nel libro We Are Syria della associazione Onlus WE Are. Allo scrittore vienne vietato l’ingresso in Siria fino al 1997 in seguito all’esilio del padre più volte arrestato e torturato in patria perché appartenente al Movimento Nazionalista Arabo. 

Tornando al libro, volontari della associazione provano a trasmettere uno spaccato della loro esperienza in Siria trasferendo al lettore le emozioni più toccanti.  Un libro che dovrebbe essere letto e analizzato nelle scuole per focalizzare il dramma che i bambini e non solo subiscono e attraverso il libro è possibile fare un gesto d’ affetto verso il futuro dei siriani perché  con il ricavato dalla vendita servirà al mantenimento dell’ambulatorio Pediatrico ad Azaz.

Abbiamo incontrato i responsabili della Strabareggia come ogni anno devolvono parte del ricavato come è accaduto per i terremotati dell’Emilia, del Nepal ma anche per sostenere con aiuti benefici la situazione in Togo e per i parrocchiani in difficoltà. Dal 2015 hanno iniziato a collaborare con l’associazione  Onlus We Are inviando parte del ricavato per la realizzazione dell’ospedale pediatrico ad Azaz. 

Anche quest’anno, hanno scelto di dare un aiuto al progetto denominato “We Are School” e grazie al ricavato ottenuto dai 1800 partecipanti alla Strabareggia hanno potuto adottare una classe 40 bambini siriani, rifugiati in un campo profughi di Yazibagh e di permettergli di frequentare una anno di scuola scuola. 

Il progetto prevede l'apertura, tramite l'ausilio di una tenda solida, di una struttura scolastica, ed il supporto economico necessario a coprire i costi di un anno scolastico per 10 classi composte da circa 40 alunni tra i 6 ed i 12 anni ciascuna. A desiderare tale struttura sono stati prima di tutto i genitori dei ragazzi e questo fa riflettere sul fatto che nonostante le pessime condizioni di vita che si riscontrano nel campo di Yazibagh, ci sia la grande voglia di donare ai propri figli istruzione e si veda la scuola come luogo di crescita e di incontro e confronto. Il messaggio che arriva dai responsabili della Strabareggia su questo progetto e quello di non dimenticarsi del futuro della Siria e dei siriani ma in primo luogo grazie al progetto scolastico, pensare anche al futuro di ragazzi e seguire la loro crescita. Il loro contributo forse è solo un granello di sabbia, ma va ricordato che ognuno di noi può e deve fare qualcosa per migliorare anche un pezzettino del futuro di chi soffre.

Per conoscere più l’associazone Onlus We Are e il dramma in Siria abbiamo intervistato il Presidente Enrico Vandini .

Ciao Mirta e Enrico quali sono state le motivazioni che vi hanno spinto a creare l’associazione We Are e quanti sono i volontari e i referenti e i loro compiti? La nostra associazione si è costituita nel 2013 e abbiamo deciso di adottarci di un nel 2014 perché ci siamo resi conto che “ufficializzando” il nostro lavoro potevamo essere più incisivi oltre che riconosciuti dalle istituzioni. I nostri interlocutori sul territorio siriano e turco sono stati da noi selezionati tramite un confronto con il Ministero degli esteri Italiano perché nel campo della cooperazione girano tanti soldi e noi vogliamo collaborare con organizzazioni riconosciute. I volontari sono circa cinquanta e sono coloro che ci aiutano nelle varie attività di reperimento fondi e aiuti da spedire, mentre i referenti sono quindici e sono coloro che gestiscono i volontari.

Negli anni avete dato vita diversi progetti. Potete darci una la delucidazione di alcuni di obiettivi raggiuti della loro importanza per la cittadinanza? Il progetto di cui andiamo più fieri è anche quello di cui hanno beneficiato il maggior numero di persone. Si tratta della sala parto che abbiamo inaugurato nel 2014 nella cittadina siriana di Azaz e che con il tempo si è ampliata diventando ambulatorio pediatrico e ginecologico. In questa struttura sono venuti al mondo e visitati circa 40 bambini a settimana per quasi due anni e vedute un migliaio di donne all’anno. Abbiamo poi fornito un generatore di corrente e uno di ossigeno all’ospedale ostetrico-ginecologico di Azaz gestito dalla Organizzazione non governativa Syria Charity con la quale collaboriamo dall’inizio della nostra attività. Altri nostri progetti ci hanno permesso di distribuire 500 dental kits con opuscolo illustrativo per l’igiene dentale ad una scuola primaria di Kilis (Turchia) frequentata da bambini siriani. Abbiamo acquistato un centinaio di galline da uova per famiglie indigenti sempre della zona di Azaz. Le persone di fiducia, che ormai consideriamo amici, e che operano per nostro conto ci segnalano poi le varie necessità impellenti che si presentano man mano e proprio in questo ambito abbiamo acquistato legna e carburante per il riscaldamento, pasti per famiglie indigenti, un Bob Cat necessario per la rimozione della neve e dell’immondizia. Abbiamo inoltre spedito 6 container contenenti cibo, farmaci, giocattoli, coperte e vestiti per neonati oltre a due ambulanze dismesse che ci sono state donate da CRI. Negli ultimi due anni, purtroppo, non ci è più permesso entrate in Siria per cui abbiamo la fortuna di avere seri e fidati collaboratori in zona che ci assicurano lo svolgimento dei nostri progetti in maniera seria e documentata.

Come è nato il progetto WE ARE School in un contesto di guerra? Il progetto nasce dalla collaborazione con una Organizzazioni non Governativa che ci ha segnalato la necessità di fornire la scolarizzazione in un campo profughi che si è venuto a creare al ridosso della frontiera turca dopo la chiusura della stessa ai profughi siriani in fuga. Si tratta di circa 400 bambini che si è deciso di suddividere in 10 classi che verranno ricavate in due grandi tende allestite all’interno del campo stesso dopo avere spianato e asfaltato l’area dedicata. Per avviare il progetto servono il necessario materiale didattico, banchi, lavagne, quaderni ecc, oltre ad insegnanti professionisti che si occupino dell’insegnamento. Il costo di ogni classe è di 150 euro mensili a cui vanno aggiunti costi per il riscaldamento e le attrezzature. Abbiamo presentato il progetto ai nostri sostenitori e alle persone che ci seguono e ad oggi siamo riusciti a coprire il costo delle 10 classi e dobbiamo ancora raccogliere i fondi per l’acquisto dei beni necessari al riscaldamento e all’insegnamento. Chi segue la nostra pagina Facebook ha avuto la possibilità di vedere crescere questo progetto in tempo reale e potrà seguirne l’evolversi. (https://www.facebook.com/WEAREonlus/).

Cosa significa per la vostra associazione rivolgere particolare verso le fasce più deboli come donne e bambini in termini? Qualche settimana fa, ricorreva la giornata mondiale per i diritti dell’infanzia e ci siamo sentiti in obbligo, vista la drammatica situazione di Aleppo, di fare un comunicato stampa in cui abbiamo manifestato la nostra indignazione per come i diritti dei bambini siriani vengano negati e calpestati da anni in un silenzio correo e vergognoso dei media nazionali. Donne e bambini, oltre agli anziani e agli invalidi, sono le categorie che più soffrono le conseguenze del conflitto e ci è sembrato normale prestare loro le nostre maggiori attenzioni.

Venendo alla guerra, qual è la realtà in Siria e come cercano di sopravvivere i siriani a questo genocidio? La realtà attuale è drammatica sia per la ferocia degli attacchi e dei bombardamenti, ma soprattutto per il silenzio e l’indifferenza vergognosa della comunità internazionale. Negli ultimi tempi la città più provata è senz’altro Aleppo ma anche tutte le altre cittadine controllate dai ribelli vivono in condizioni drammatiche essendo meta di coloro che fuggono dai bombardamenti ma che sono impossibilitati a lasciare la Siria visto il muro eretto alla frontiera dal governo turco. I siriani cercano di sopravvivere con una dignità che dovrebbe essere da esempio per tutti noi e ci dovrebbe indurci a provare una forte vergogna per come si stà ignorando il loro dramma.

Quali sono i maggiori problemi che si stanno creando e quali sono gli aiuti che possono venire dalle associazioni come la vostra e dai diversi Stati internazionali? Siamo una associazione molto giovane per cui la nostra esperienza è limitata al territorio siriano dove la situazione è tragica perché spesso il regime per fare cedere zone occupate dalla resistenza isola la zona stessa non facendo passare né cibo né farmaci. Abbiamo avuto notizie di paesi in cui i civili soffrivano davvero la fame e la situazione più vergognosa è che dall’inizio del conflitto non si è esitato a bombardare ospedali e ambulatori. In questo preciso momento pare che ad Aleppo non ci siano più ospedali funzionanti. Cosa viene fatto dagli Stati per fermare la guerra? La risposta è: nulla! Non agiscono neppure le istituzioni internazionali e soprattutto, non riusciamo a spiegarcene il motivo. Nel dramma quotidiano non si è assolutamente mobilitata l’opinione pubblica che in passato era pronta a scendere in piazza per ogni violazione dei diritti umani o per qualsivoglia conflitto.  Le associazioni fanno quello che possono con risorse limitate ma con tanta determinazione. Esiste una grande disinformazione, I media hanno ignorato questa catastrofe per anni e ancora adesso la situazione non si può certo dire essere migliorata. In Siria un gruppo di giovani sono scesi in piazza in maniera pacifica 5 anni fa per chiedere il rispetto dei diritti umani, libertà e democrazia in un paese che viveva in stato di emergenza da decine di anni. Il regime ha cercato di reprimere nel sangue questa rivolta e alcuni ufficiali dell’esercito hanno creato l’Esercito Siriano Libero in contrapposizione alla ferocia del regime. Il protrarsi del conflitto, senza nessun intervento da parte della comunità internazionale, ha visto estremizzare le posizioni anche a causa dell’intervento dell’Iran e della Russia che dall’inizio hanno sostenuto Assad.

Dal vostro punto di osservazione, siete a conoscenza di quanti Siriani e cittadini del nord Africa scappano dal loro paese per guerre nella speranza di raggiungere l’Europa attraversando il nostro paese. Quali difficoltà incontrano? Dall’inizio del conflitto in Siria il comportamento dell’Europa nei confronti dei profughi Siriani in fuga è sempre stato a dir poco meschino. Coloro che fuggivano dalla Siria dilaniata dalla guerra avevano il diritto di ottenere l’asilo politico per il loro status ma per poterlo richiedere erano obbligati a rischiare la loro vita e quella dei loro cari nelle traversate del mare adriatico dove in tanti hanno perso la vita arricchendo trafficanti senza scrupoli, divenuti ricchi sulla loro pelle. I corridoi umanitari, richiesti a gran voce da tutte le associazioni operanti nel settore sono stati adottati per un numero risibile di profughi e solo negli ultimi tempi. Vorremmo approfittare per invitare i lettori alla visione del cortometraggio “Io sto con la Sposa”, realizzato dall’amico Gabriele Del Grande, che documenta in maniera perfetta questo dramma. Visto il numero di morti nel mare Adriatico ultimamente la maggior parte dei siriani in fuga cercavano di raggiungere il nord Europa tramite la via dei Balcani ma anche in questo caso alcuni stati europei si sono comportati in un modo che non preferiamo commentare. Iraq, Afghanistan, Siria, Nigeria e tanti altri sono gli stati da cui le persone fuggono e vorrei che per una volta sola si ragionasse su chi finanzia o chi alimenta questi conflitti. Si dovrebbero gestire tutti i momenti di crisi dei grandi sbarchi, con buonsenso ma questa Europa sembra essere interessata più alla finanza, alle banche che alla difesa dei diritti umani e sia come volontari che come cittadini italiani ed europei viviamo questo atteggiamento come una grande sconfitta.
Grazie mille per il tempo che ci avete dedicato nel rispondere alle nostre domande, sperando che servano a far capire cosa significa la guerra e le diverse tragedie che comporta.

Alessandro Casiraghi







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