MACHERIO, E-VENTI
Narrano le cronache, paesane s’intende, che ai primi del
1995 un gruppo di volenterosi diede vita a quello che venne chiamato Progetto
Macherio, la formazione destinata ad amministrare il nostro paese per tre
tornate consecutive e, dopo un fallimentare intermezzo (targato Lega-
Berlusconi), per una quarta.
Sono passati giusto vent’anni: è lecito e doveroso, tentare
un bilancio. Siccome l’ultima campagna elettorale risale a quasi due anni fa e
la prossima è prevista fra più di tre anni, e siccome per natura non credo di
appartenere alla schiera degli urlatori, degli attaccabrighe e di chi presume
di avere sempre ragione, forse mi posso permettere una analisi libera e serena.
Non dico disinteressata, perché mi interessa e come sapere
se il progetto di una nuova Macherio sta andando in porto, e poi sarei poco
credibile figurando nell’elenco dei promotori di vent’anni fa anche il mio
nome.
Qualcosa
di speciale
Oggi Progetto Macherio, che nel frattempo si è irrobustito
in Progetto Macherio Bareggia, è sigla nota, nel ’95 fu una novità assoluta.
Tanto che in seguito sarà imitata, perfino nel nome, da diverse altre
formazioni: come la Settimana Enigmistica.
Che cosa aveva di speciale per ottenere da subito il
sostegno, non solo al momento del voto, di gran parte della popolazione? E sì
che i Macheriesi, anche nel 1995 come poi nel 1999 e nel 2004, con la scheda
elettorale tra le mani non esitavano a esprimere la loro preferenza per partiti
di centrodestra; ma se si trattava del comune, nello stesso giorno nella stessa
cabina con la stessa matita non esitavano a votare per una lista di
centrosinistra: risultati, quindi, diametralmente opposti.
Vuol dire, evidentemente, che la scelta cadeva sulle
persone, singolarmente stimate e valutate come gruppo omogeneo. Vuol dire che
si condivideva lo spirito su cui si fondava Progetto Macherio.
Qual era questo spirito? La prima presentazione pubblica
iniziava con una domanda: “E’ possibile
per Macherio un nuovo progetto che accomuni uomini ed energie diverse e che parta
direttamente dal confronto fra liberi e cittadini?”
La risposta sembrerebbe scontata ma, a parte il tatto che
l’unione fra energie diverse e il confronto sono per molti ancora oggi concetti
poco digeribili, è necessario ricostruire almeno i contorni della Macherio di
vent’anni fa.
Primo: era la prima volta che i cittadini venivano chiamati
a eleggere direttamente il loro sindaco. Fino ad allora si erano votate liste
partitiche ed erano i consiglieri comunali a scegliere il sindaco al loro
interno.
Secondo: una tale novità creò molte attese ad attenzioni,
avvicinando realmente i rappresentanti/ cittadini e i rappresentanti/amministratori.
Terzo: Era il momento di unire, di aggregare, di dialogare,
di costruire ponti. Progetto Macherio seppe capirlo per primo, mentre altri si
attardavano a rompere, fino a rompersi al loro interno, a insultare, a scavare
fossati.
Quarto: La nuova formazione superava ogni schema
precedente: non era un partito, non era una alleanza di partiti, ma non nasceva
dal rifiuto della politica. Per questo è durata e dura, perché seppe e sa
coniugare il rispetto per le diversità ideologiche o religiose dei suoi
componenti e capacità di avere una visione d’assieme, che è propria della è
politica vera.
Quinto: Ai sostenitori non si sono mai chieste tessere. Tra
poco; si è chiesto qualcosa di ben più impegnativo: passione, disinteresse,
competenza, gioco di squadra.
Sesto: All’appello i promotori risposero subito in molti. E
se tra gli estensori del manifesto si trovavano “mischiati, macheriesi che agivano nel sociale in chiave laica e
Macheriesi che agivano nel sociale in chiave religiosa, uomini impegnati da
anni nella vita amministrativa e giovani che si affacciano per la prima volta
alla finestra della casa pubblica”, quando arrivarono le adesioni, più
d’uno strabuzzò gli occhi. Alcune firme parevano scontate, come quelle di
Rivolta Giancarlo, Redaelli Roberto, Corbetta Sergio e Malfer Mario.
Ma altre erano lì a dimostrare che davvero le barriere
erano state abbattute: come altrimenti si potevano interpretare le firme di
Bonacina Fabio, Granata Armando, Rivolta Franco e – qualcuno non si è ancora
riavuto dal colpo- Nava Franco con Cassanmagnago Carla?
Cosa è
cambiato e cosa è rimasto.
Se questa era la Macherio di vent’anni fa, che come tutta
Italia stava cercando di dimenticare, sotto i colpi di Tangentopoli, Dc Pci Psi
Pri Psdi Pli, oggi che non siamo più ai primi del 1995 ma siamo ormai ai prime
del 2015, cosa è cambiato e cosa è rimasto della carica innovatrice e liberatrice
di Progetto Macherio?
Mi sono ripromesso di non celebrare un evento, ma di
ragionare, come posso sull’oggi. Devo iniziare da quel che è cambiato.
E’ cambiata l’Italia. La crisi, che dura da anni e di cui
si intravvede il termine, non è solo economica, ma generale. I riflessi sulle
singole comunità e su chi le amministra sono sotto gli occhi di tutti. I
bilanci, sono sempre più impoveriti; la fiducia nelle istituzioni si sfilaccia
ogni giorno, il partito dei sindaci, un po’ sopra le righe, da stampa e tv,
oggi ondeggia tra lamenti e impuntature nei confronti di uno Stato cannibale;
un comunello come il nostro è costretto a fare i salti mortali; scontentando
tutti e scontando l’impopolarità dell’ente periferico, su cui vengono scaricati
i problemi quotidiani da affrontare senza le risorse necessarie.
Da questo punto di vista, confrontare i risultati
amministrativi di ieri con quelli di oggi, è operazione azzardata: sono troppo
diverse le situazioni di fondo. Vent’anni fa c’erano più margini di intervento,
più risorse, più speranza, addirittura più autonomia.
Ma la domanda più difficile, più ingombrante, quindi
più giusta, è l’ultima: Progetto Macherio è riuscito a raggiungere, o almeno ad
avvicinare, gli scopi per cui era nato? Per rispondere, come si usa dire, “in scienza
e coscienza”, l’unico metodo serio è riprendere i punti fondanti e misurarne il
grado di realizzazione.
Allora procediamo. “Restituire Macherio ai Macheriesi” era
lo slogan iniziale, un po’ retorico come tutti gli slogan, ma chiaro e onesto,
che coraggioso. Tradotto in azione amministrativa, voleva dire: informare in tempo
reale i cittadini su come venivano spesi i loro soldi; coinvolgendoli nelle
decisioni più importanti; metterli al corrente a cuore aperto delle difficoltà
e non solo dei successi, ascoltarli sempre tutti, anche nelle richieste e
proteste che non è facile stare ad ascoltare; spiegare incessantemente che
Comune è uguale a Comunità, la nostra Comunità, quindi che i problemi vanno
affrontati assieme; trattati tutti allo stesso modo, casomai con un occhio di
riguardo per i più indifesi; farli sentire partecipi della vita collettiva.
Impresa da non poco. Soprattutto impresa infinita, nel
senso che non si potrà mai dire è fatta, il traguardo è stato raggiunto. Ma,
onestamente, rispetto a prima sono stati compiuti passi significativi?
In tutta franchezza, a me pare di sì. Chi appena avesse
memoria della Macherio di vent’anni fa e la Macherio odierna, non potrebbe
pensare diversamente.
Non mi riferisco solo alle novità strutturali, dalla
palestra alla scuola media, dagli ambulatori alla posta, dalle piazze ai
giardini, dai centri per le famiglie e per disabili agli orti per i pensionati.
Mi interessa anche sottolineare il non- fatto: il non aver
soffocato il nostro paese sotto i mattoni, garantendone al contrario la
vivibilità, il non aver tartassato i cittadini, come riconosciuto dalla Regione
Lombardia e, meglio ancora, dalle statistiche; il non essere stati succubi
delle immobiliari; il non aver accettato supinamente i diktat di organismi
superiori, per i quali Macherio, sarebbe stata sventrata da un’autostrada e dal
raddoppio ferroviario in superficie.
Mi interessa pure l’azione “conservatrice”: l’amore per la
storia del nostro paese, l’attenzione ai momenti di vita comunitaria; la
restaurazione di un clima politico sereno, lontano mille miglia dalla rissosità
che ha contraddistinto tanta parte della politica macheriese.
Insomma, tutto bene? L’altra, tra le finalità di Progetto
Macherio recitava “Condivisione di valori fondamentali quali la solidarietà, la
tolleranza, la democrazia, lo sviluppo armonioso del territorio”.
Obiettivo raggiunto o mancato? Se è all’interno del gruppo
che si guarda, non c’è dubbio: il gruppo non ha conosciuto defezioni e
tantomeno espulsioni, anzi si è rinnovato, rinforzato, allargato; alla faccia
di chi ne pronosticava la disgregazione il tempi brevi, data la sua natura
composita.
Ma una formazione politica, anche se non partitica in senso
stretto, non nasce e non si sviluppa per
accontentarsi della coesione interna. Se non c’è neppure quella, è ovvio che
nulla più tiene, come si è visto anche di recente anche a Macherio.
Però il senso di un’azione politica è di guardare al di
fuori, di parlare con e all’insieme di donne e uomini che formano la Comunità.
Ecco, che la Comunità macheriese condivida la democrazia e
lo sviluppo armonioso del territorio, ci mancherebbe altro; la solidarietà,
magari; la tolleranza, è lecito dubitare. Se Progetto Macherio aveva nelle sue
intenzioni un accrescimento del tasso di tolleranza della popolazione, e lo
aveva e lo ha di sicuro, si può concludere che ce l’ha fatta? In tutta
franchezza, mi pare di no.
Lo ammetto con tristezza, raddoppiata dal fatto che io ne
sono stato una figura non di secondo piano. So che qualcuno, forse molti, non
gradiranno sentir parlare della cosiddetta moschea. Lo so, come so che sarebbe
più diplomatico sorvolare e comunque non mi obbliga nessuno a scriverne
pubblicamente. Ma purtroppo so pure che da quando ho letto quella frase di
Camus (“Alla mia età non riesco a mentire: si fa troppa fatica”) non riesco più
a liberarmene.
Ricordi riflessioni rigorosamente personali. La moschea, da
aggettivare sempre con “cosiddetta”: rabbia di quasi dieci anni fa; saranno
parecchi, ma erano parecchi anche i dieci anni trascorsi dalla nascita di
Progetto Macherio. Il non riuscire non dico a convincere, ma semplicemente a
discutere i termini della questione con gran parte della popolazione, mi aveva
dapprima spiazzato poi disarmato.
Non poter iniziare neppure un confronto, vedere che si
preferiscono le urla la ragionamento, trovarsi davanti al ricatto del voto (“Se
fate così la prossima volta non vi voteremo di sicuri”: promessa mantenuta),
sentirsi dire “qui è meglio che tu non metta più piede” e “Ma che telo fa fare
di buttar via la stima che avevo per te per quattro marocchini?”: si possono
chiamare segnali di tolleranza?
Se a distanza di un decennio, dopo che non ricopro più
cariche pubbliche, sono ancora qui a farmi male nel rievocare quel periodo, è
proprio perché continuo a interrogarmi se è sufficiente essere buoni
amministratori o se gli obiettivi non devono collocarsi più in alto.
A chi sta proseguendo l’opera intrapresa vent’anni fa, con
maggiori difficoltà di allora, vanno gli auguri di tutti i Macheriesi che
condividono l’intento di vedere un paese è più solidale e tollerante.
Franco Verga
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