RACCONTI UCRAINI
«Guarda che domenica… guarda che sole… perché dobbiamo fare la guerra?» Con questa frase, di un’insostenibile semplicità, la donna di Kiev mi ha congedato. Non scriverò il suo nome, non voleva nemmeno che mettessi le iniziali. Paura? Ne aveva molta. Tuttavia ha parlato, con gli occhi lucidi e la rabbia nel sangue. La donna di Kiev vive il conflitto da qui, dalle retrovie d’Italia. Ciò non significa che sia al riparo: il figlio, la casa e gli affetti più intimi si trovano nel mezzo della polveriera, nel traffico omicida dei carrarmati. Il figlio dorme poco. Anzi, dorme niente. Ogni mattina chiama la mamma, “sono vivo” le dice… poi riattacca. Con la guerra dentro, l’ansia bastarda e la giacca scolorita, la donna di Kiev si allaccia le scarpe, leva il lucchetto dalla bicicletta e va a lavorare. Mi ha raccontato che ogni mese invia i suoi risparmi a casa, appena fuori dai confini d’Europa. Per quanto assurdo possa sembrare – o per quanto assurdo sia – è così che mantiene i suoi cari. Dietr